La sindrome della velocità

Giornale L’Adige

LA SINDROME DELLA VELOCITA'.

Considerazioni su alcuni aspetti psicologici.

Dott.Marco Videsott. Psicoanalista.

Perché corrono così? E' una domanda che ci poniamo spesso, ma soprattutto quando porta a tragiche conseguenze, come quelle recenti, che sembrano rincorrersi. Una simile domanda mostra però un aspetto particolare, perché mette in risalto il fatto che sono gli altri a correre, come se volessimo rimuovere che si tratta di un problema che ci coinvolge molto di più di quanto forse non vogliamo ammettere. Forse anche per questo si è portati a ritenere che sia una caratteristica legata più all'intemperanza giovanile che non agli adulti, ma a ben guardare è vero.

Trovare le cause psicologiche dirette e reali collegate alla sindrome della velocità sarebbe possibile solo in relazione ad ogni singolo individuo, tuttavia esistono alcune considerazioni generali che aiutano nella comprensione di questo fenomeno.

Il punto nodale può essere collocato con riferimento al bisogno di ciascuno di definire la propria identità e alla sua lunga e travagliata ricerca. E poiché questo bisogno si evidenzia particolarmente nei giovani, è a questa fase che dobbiamo guardare. In questo periodo inizia il distacco dalla dipendenza dalle figure genitoriali, che fin qui avevano fornito un preciso riferimento di identità, sperimentando nuove possibilità di affermazione come individuo indipendente.

Tuttavia questo passaggio non è facile né semplice, deve confrontarsi con le proprie difficoltà psicologiche individuali, deve confrontarsi con l'atteggiamento degli stessi genitori che spesso non accettano il distacco dai figli e ancora con i condizionamenti sociali tra i quali il protrarsi del collocamento al lavoro e della relativa assunzione di responsabilità.

Persa l'identità fusionale con i genitori e non ancora definita la propria, si cercano nuovi riferimenti esterni, il primo dei quali è il mondo giovanile dei coetanei. Così ad esempio la ricerca di un particolare modo di vestirsi diventa un preciso simbolo di identità, che traduce il concetto di: "io sono, perché così sono anche tutti i miei compagni". Per chi ricorda la fine degli anni sessanta, l'eskimo rappresentava il simbolo di una nuova identità giovanile che rivendicava un proprio ruolo attivo e riaffermava la propria esistenza come soggetto.

Mentre si cerca di vincere il legame di dipendenza con i genitori, ci si rende conto di poter cominciare a decidere e a fare autonomamente e questo spesso induce una sensazione di onnipotenza, in base alla quale ogni cosa diventa possibile e dominabile. Come conseguenza, soprattutto se inconsciamente si percepiscono i propri limiti e si teme di non riuscire, diventa necessario mostrare a sé stessi che gli ostacoli non esistono.

Con la propria onnipotenza a lui non può succedere di fallire: sono gli altri che forse hanno delle difficoltà, sono gli altri che vanno fuori di testa con una pastiglia o con un pò di fumo, o che stanno male con pochi bicchieri di alcool, e soprattutto sono gli altri che ci restano in macchina.

A questo punto il disagio del non essere ancora adulto, avendo già alcune delle possibilità degli adulti, ma con altre ancora mancanti, sollecita una certa ansia del tempo, come a voler che questo periodo passi in fretta e si cerca di correre in avanti senza limiti e senza confini, per lasciare velocemente il passato e raggiungere qualcosa d'altro il più velocemente possibile.

Nasce così la sindrome della velocità come espressione della propria onnipotenza e simbolo illusorio di dominio del tempo.

In fondo a ben guardare, il bisogno di dominare il proprio tempo si perpetua anche nell'età adulta, perché il fascino della velocità per rincorrere qualcosa che inconsciamente ci realizzi, non finisce mai.

In questa sindrome i vari divieti appartengono ad un altro mondo, quello dei vincoli e delle frustrazioni tipiche dell'impotenza di quando si era bambini e si doveva obbedire alle regole dei genitori. Accelera non solo simbolicamente, e tragicamente non importa come e in quale direzione, chi sente di dover rincorrere la propria identità proprio perché per lui è ancora lontana. Così come, per coprirne la mancanza, utilizza spasmodicamente i simboli sociali, ma sempre negando con forza a sé stesso quanto ciò sia effimero.

Tutto questo rappresenta per ogni persona un aspetto che va affrontato nel corso dello sviluppo, perché mentre cresce la percezione della propria identità e si percepisce la dimensione del proprio essere in un processo che realmente non finisce mai, anche il rapporto con la realtà diventa meno ansiogeno. Allora i divieti esterni non costituiranno più l'indispensabile protezione per la salvezza dalla manifestazione ansiosa, perché non sarà più quest'ultima a dominarci in quanto saremo capaci di cogliere il rapporto tra la nostra identità e il mondo circostante.