Giornale L’Adige Sabato 25 maggio 2013
FEMMINICIDI
I perché della violenza sulle donne. Boom di aggressioni
Uomini che aggrediscono le donne
Dott. Marco Videsott Psicoanalista
Il recente susseguirsi di episodi di violenza verso le donne, che talvolta arrivano fino all’omicidio, genera preoccupazione e la necessità di capire come si possa arrivare a tanto.
Purtroppo non è un’evidenza recente; è sempre esistita, sebbene la sua reale portata venga spesso sottovalutata in quanto rinchiusa nelle pareti domestiche e considerata socialmente come un problema di famiglia, da risolvere al suo interno e in cui non intromettersi.
Premesso che nessun atto di violenza è ammissibile né moralmente né socialmente, qualunque siano le condizioni nelle quali si sviluppa, cerchiamo di capire l’origine di una violenza così diffusa.
Esaminando gli episodi, si nota come quasi tutti abbiano delle cose in comune che si riferiscono allo stato psicologico delle persone coinvolte.
Si tratta di uomini che non possono fare a meno di imporre il loro controllo/dominio sulla donna e dall’altra parte si tratta di donne che cercano di realizzare una loro capacità di autonomia.
Molto indicativo appare l’episodio di qualche giorno fa, quando verso alcune donne, che transitavano da sole in macchina, sono stati sparati senza motivo apparente dei colpi di pistola provenienti da un’auto con a bordo due uomini. La mancanza di un motivo specifico fa pensare ad un’aggressione verso donne assunte come simbolo di autonomia femminile, in quanto alla guida da sole.
Ma le condizioni sociali e culturali sono solo un corollario allo sviluppo della violenza, le cause determinanti che portano ad esercitarla stanno principalmente in fattori psicologici.
In particolare si nota che la personalità degli uomini che aggrediscono le donne, presenta un disturbo dell’identità, che genera una patologia di possesso e la necessità di esercitare il proprio dominio per tenere la donna legata a sé.
Quando essa sente in qualche modo anche solo il bisogno di modificare questo dominio, molti uomini vanno in crisi e si sentono abbandonati. L’unica reazione di cui sono capaci è quella di usare la violenza per piegare l’espressione di autonomia e respingere il desiderio della donna di essere riconosciuta in quanto persona e non come oggetto di possesso.
Per tanti anni sono vissuti con l’appoggio di un’altra figura, aggrappandosi ad essa senza realmente sviluppare un’identità psichica autonoma.
Ai bambini i genitori forniscono un riferimento ed un contenimento importante. Con la crescita il bisogno di individualizzazione porta a staccarsi dalla famiglia, ma restando l’insicurezza di un’identità ancora non formata, il riferimento psichico nell’adolescenza si sposta sul gruppo dei coetanei.
Per la maggior parte delle persone, col tempo le insicurezze di personalità si colmano attraverso l’elaborazione degli aspetti interiori della propria identità, separata da quella della madre, rendendoli liberi dal bisogno patologico di dipendenza con un’altra persona, cioè con un oggetto esterno come supporto.
Per altri il processo di identità si sposta verso una ricerca sempre più esterna a se stessi e il bisogno di appoggio diventa progressivamente più forte, ma allo stesso tempo non viene riconosciuto come tale e allora viene compensato con sentimenti e comportamenti di legame con un’altra persona, oppure con manifestazioni di forza e dominio esteriore, come nel campo del potere sociale.
Gli uomini cercano elementi esterni di identità assumendoli nei modi di fare e negli atteggiamenti socioculturali e antropologici che identificano il maschio: la forza, il dominio, la svalutazione degli aspetti sentimentali, lo spregio verso le persone diverse da loro ed anche verso ciò che è femminile.
Quando poi nell’orizzonte della vita entrano le donne, esse assumono il ruolo di oggetto che soddisfa l’istinto sessuale e soprattutto di oggetto funzionale al proprio bisogno di identità e dunque al supporto di se stessi. Più si sentono fragili interiormente, più in loro cresce il bisogno di dominare per possedere quel qualcosa che manca dentro.
Anche la crescita delle bambine ha un percorso simile ed per talune la loro identità ha bisogno di un appoggio esterno, ma a differenza degli uomini, nelle donne l’appoggio è rappresentato dalla proiezione dei propri bisogni sull’uomo come unico oggetto che può farsi carico di soddisfarli.
Nella coppia questo provoca una specie di cortocircuito: ognuno riceve dall’altro qualcosa di cui ha bisogno, l’uomo l’oggetto da dominare e la donna l’oggetto che si faccia carico di lei.
Fintanto che questa condizione regge, alimentata anche dall’accettazione sociale, non è possibile nessun cambiamento e se uno dei due esprime un proprio bisogno di identità, allora nascono i problemi.
Le reazioni più estreme si hanno quando si affaccia l’idea di doversi separare. Una separazione è sempre dolorosa e traumatica, ma dover lasciare qualcosa che ha sempre rappresentato una parte della propria identità è difficile da accettare.
La donna deve separarsi da un uomo dal quale ha sempre atteso che si occupasse di lei e delle sue aspettative, speranza mai soddisfatta veramente, e arriva a perdonare il proprio aguzzino, perché non riesce ad abbandonare il desiderio di essere capita e di ricevere soddisfazione dei bisogni.
L’uomo deve separarsi da una parte dell’identità maschile che ha assunto attraverso il possesso di qualcosa che lo rappresenti e lo faccia sentire forte, quella forza che non si sente dentro. In questi casi non teme solo di perdere una donna, ma soprattutto quello che dava senso alla percezione di sé stesso.
Se un uomo non accetta di affrontare un proprio necessario cambiamento, quanto più la sua identità psichica è fragile, tanto più può tendere ad opporvisi in modo teatrale e violento.
All’inizio cerca di piegare la volontà altrui con violenze morali, e poi progressivamente verbali, comportamentali e fisiche, fino agli sfregi e all’ultimo atto, l’omicidio.
In questi casi estremi il suo timore profondo è che la perdita di lei, determini la propria morte psichica e allora, perso per perso, deve vendicarsi facendo perdere a lei la vita.